Intervista a Massimo Spinosa

Relizzata da Mauro Agnoli (3-12-2006) e pubblicata per la prima volta sul sito Tivulandia



Biografia

Anagrafe. Sono nato a Milano il 23 maggio del ’54. Mio padre si chiamava Marino, mia mamma Alberta. Sono stato sposato, ma non lo sono più. Nessun figlio.

Curriculum scolastico. Ho fatto il Liceo Scientifico e poi il DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) a Bologna.

Intervista

Come e quando nasce la tua passione per la musica?
Da piccolino avevo una vicina di casa pianista. Andavo sempre lì e mi faceva sempre sentire Prokofiev, Pierino e il Lupo, musica classica, mi piaceva tantissimo... Poi per un po’ ne ho ascoltata di meno, perché sono andato in un collegio di preti dove si sentiva poca musica e quella poca che c’era non era tanto interessante. Questo fino ai quattordici anni. Quando ho compiuto quattordici anni era il 1968, e con i Beatles mi sono innamorato della musica e non l’ho più lasciata. Poi, sai com’è con la musica, anche se all’inizio ti piacciono delle cose, col passare ne cerchi altre sempre più particolari. Mi piacciono le cose strane.

Qual è il tuo strumento?
Suono il basso. Quand’ero ragazzino con dei gruppi. Poi ho cominciato a suonare nei locali, quando non c’erano ancora le discoteche. Dopo, nel ’79 a venticinque anni, ho fatto la prima tournée con Vecchioni. Ho lavorato per un po’ di anni in tournée con Vecchioni, con la Vanoni, con De Gregori, con Bennato. Poi come turnista ho lavorato con De André per Creuza de mä, il suo disco in genovese. Solo che in tournèe il vero lavoro è quello di viaggiare, non quello di suonare. E poi, essendo sempre in giro, perdi qualsiasi altro lavoro. Credi di guadagnare, ma non è vero perché spendi tutto in alberghi, ristoranti, tavolate-tanto-si-divide... finisce la tournée e hai giusto i soldi per pagare le tasse. E allora, siccome avevo anche la passione delle macchinette, ho cominciato a smacchinettare, fare un po’ di colonne sonore di pubblicità e, alla fine degli anni ‘80, ho smesso con le tournée.

Da dove trai la tua ispirazione? Si possono ritrovare nella tua musica echi delle cose che piacciono a te?
Nel ’70 un concerto mi ha veramente cambiato la vita: ho avuto la grandissima fortuna di sentire al Conservatorio Keith Jarrett suonare con Miles Davis. Era il pianista di Miles Davis e all’epoca non lo conosceva nessuno. Avevo ascoltato una musica mai sentita, avanti decenni. Fino ad allora io avevo avuto solo dischi pop, tipo Jethro Tull. Sono tornato a casa e ho buttato via tutto!

Come ti scopri autore di musiche?
In modo automatico, suonando, ogni tanto ti viene qualche cosa di carino e lo metti via. Le cose che ti piacciono di più le ripeti, e quelle che ripeti diventano delle storie e vanno a formare un tuo archivio mentale di situazioni da cui prendere ogni volta la musica più adatta.

Quali sono le canzoni più note che hai realizzato come autore?
Come autore non ho fatto canzoni per artisti noti, ma colonne sonore e jingle.

Quali sono i tuoi jingle più famosi, o che ti ha fatto piacere comporre?
Siccome io non ho la televisione, e non la guardo, non so quali siano i più famosi. Posso dirti l’ultimo che ho fatto, in onda adesso: Agip Blue Diesel, cantato da Silvio Pozzoli. O il penutlimo: Kinder Merendero..

Quanti jingle fai all’anno?
Dipende. A volte non succede niente per mesi, poi di colpo arrivano cinque richieste tutte assieme. Il miglior jingle è quello commissionato da chi è con l’acqua alla gola perché deve andare in onda. Altrimenti ti chiedono mille variazioni e ci vuole un mese per una musica di trenta secondi, che poi quasi neanche si sente perché coperta dalla voce. Spesso si parte da una cosa bella e poi pian piano, alla fine... Purtroppo tra chi commissiona il jingle e il musicista ci sono una decina di persone. Se si potesse parlare direttamente con chi ha bisogno di un jingle, si farebbe subito la cosa giusta. Oltre ai jingle, faccio anche piccole produzioni, e poi insegno. Adesso insegno Tecnologia Musicale alla CPM di Milano, per imparare ad usare le macchinette per fare musica.

Parliamo ora della sigla Mademoiselle Anne. Ti ricordi l’anno del provino di Mademoiselle Anne?
Giuro che non mi ricordo! In quel periodo facevo troppe cose, la tournée di Bennato, la tournée di Vecchioni, Creuza de mä, tutte le musiche di Quo Vadiz con Mauro Pagani. Questa era una trasmissione televisiva finto romana con Sidney Rome, Nichetti, Don Lurio, I Gatti di Vicolo Miracoli. Solo per Quo Vadiz sono stato in ballo sei mesi, a lavorare dieci ora al giorno, sabato e domenica inclusi. I componevo le musiche dei balletti, che poi venivano fatti da Don Lurio. Bravissimo! Praticamente era lui il regista.

Come nasce la collaborazione con Mitzi Amoroso?
Mi sembra ci abbia presentati Walter Calloni, che ai tempi era il batterista della PFM. Prima ho lavorato con lei come musicista. Poi le ho fatto sentire delle cose che le sono piaciute, e allora mi ha chiesto di fare Mademoiselle Anne, e io ho coinvolto Silvio Pozzoli.

Come nasce Mademoiselle Anne ?
Mitzi mi ha dato un testo, e io e Silvio Pozzoli abbiamo fatto un primo provino. Il testo era diverso da quello che sarebbe stato poi inciso. Il pezzo era molto bello, un pezzo pop e adulto, ma è stato giudicato troppo difficile. Allora abbiamo preso la musica, la abbiamo buttata via, abbiamo abbassato tantissimo la mira, e ne abbiamo fatta una nuova, il giro di do che conoscete, una cosa molto elementare. Così è stato registrato il secondo provino, con un testo molto simile a quello del primo provino [questo secondo provino è quello pubblicato sull’album Al tempo delle Mele Verdi]. A questo punto però, per adattarsi al testo, c’era da tirare troppo metricamente. Così Mitzi ha aggiustato anche il testo ed è nata la sigla.

Ti è stato dato solo il testo, o hai anche visto un video del cartone animato?
Mai visto un video.

Come avete registrato le musiche di questi due provini?
Li abbiamo fatti in casa mia col walkman. Ci sono batteria elettronica, chitarra acustica, basso e tastiere. Io ho suonato il basso e le tastiere e ho programmato la batteria elettronica, Silvio ha suonato la chitarra e ha cantato.

Come si lavora con Silvio Pozzoli?
Io con Silvio lavoro da venticinque anni. Secondo me è un professionista di altissimo livello, come non ce ne sono in giro. Ha una voce pazzesca e, soprattutto, umanamente è una persona impagabile. Questo è un ambiente terribile, di gente senza preparazione che contemporaneamente si comporta da squalo, e completamente inaffidabile. Silvio è uno dei pochissimi che ho incontrato coi valori all’antica, una persona sana. E quindi è sempre un piacere lavorare con lui. Silvio ha una vena molto popolare, mentre io me la tiro un po’. Silvio però è talmente musicale che con lui lavoro molto bene. Nella composizione di Mademoiselle Anne Silvio melodicamente ha dato tantissimo.

Avete partecipato anche alla registrazione in studio?
Assolutamente sì. Eravamo qua a Milano, allo studio Peperoncino di Paolo Latina. Alla batteria c’era Walter Calloni, io al basso, Lucio Bardi alla chitarra elettrica. Questo quando abbiamo registrato la base. Poi io ho sovra inciso tutte le tastiere che ci sono. Infine abbiamo registrato la voce e i cori. La voce era di Stefania Mantelli, ma non ricordo chi c’era nel coro de Le Mele Verdi. Sicuramente c’era Paolino. L’arrangiamento è mio e di Silvio. Mi sembra di ricordare che Paolo Latina fece da tecnico del suono.

Cos’altro hai fatto con Le Mele Verdi?
Ho fatto le musiche per uno spettacolo teatrale, "Fantaltà. Fantasia e Realtà". Sono stato anche presente alla prima. Almeno cinque o sei pezzi, musiche mie e testi di Mitzi, che però non stati mai pubblicati. Registrammo le canzoni in studio per poi usarle nello spettacolo. Erano gli albori del digitale e fu la prima volta che usai il computer per fare le voci, mentre fino a quel momento c’era solo il midi. Purtroppo è tutto registrato su un formato che non si usa più. Un’altra volta Mitzi mi ha chiamato in uno studio di corso Buenos Aires a dirigere le bambine, ma non mi ricordo di cosa si trattasse.

Come mai con Alessandra Maldifassi c’è stata una conoscenza più approfondita e duratura nel tempo?
Alessandra, a mio avviso, era sicuramente la più brava tra Le Mele Verdi. Io poi, poco tempo dopo, ho dovuto fare con Pepe Maina le musiche per una videocassetta di karaoke per bambini, Canta con Luna, della Fabbri. Era un uscita periodica, videocassetta con libro, con le canzoni top hit del momento, tipo Zucchero. Nella videocassetta cantava una ragazza di nome Luna, che poi diceva “E adesso tocca a te”, e quindi partiva la base con sotto le parole che si illuminavano. Luna era spigliata, però come cantante era abbastanza negata. C’era quindi bisogno di una voce molto fresca, molto adolescenziale, per le canzoni. Così mi sono ricordato di Alessandra e l’ho contattata per registrare le canzoni. Questo lavoro è andato benissimo, nel frattempo ho conosciuto il padre, ho conosciuto la madre, e siamo diventati amici. Oltre a queste videocassette le ho fatto cantare anche un jingle. Poi lei si era messa a dipingere e faceva delle cose Liberty molto belle. Era una ragazza molto brava, buona, umana, vivace e entusiasta.

Quali altre Mele Verdi hai conosciuto meglio?
Stefania Mantelli l’ho conosciuta solo in occasione della registrazione di Mademoiselle Anne. Paolino invece, essendo figlio della Mitzi, lo ho visto più spesso. Con Mitzi mi vedevo ogni tanto, sono stato anche qualche volta a mangiare a casa sua, e c’era anche Paolino. Siccome poi lui suonava la batteria, e anche a lui piacevano le macchinette, è venuto in studio qualche volta.

Con Silvano D’Auria che rapporto hai?
Silvano D’Auria abita qua vicino e ci siamo sentiti l’ultima volta un mese fa. Ogni tanto mi chiede qualche cosa, ma solo manovalanza, nulla di artistico.

La tua migliore qualità e il tuo peggior difetto?
Alla Marzullo! La mia migliore qualità professionale credo sia che capisco un po’ di tutto. Di solito c’è chi è bravo col computer, però non sa l’armonia, anzi pensa che conoscere la musica lo limiti nella sua creatività. Invece molti accademici pensano che queste cose siano dei giocattoli. Il peggiore mio difetto è umano. Se mi imbatto in una cosa che mi stressa, superata una certa soglia, sparisco.